Non profit

Bocconi, il business contaminato dall’etica

La svolta nel 1994. Ora in Bocconi le iniziative attorno al non profit occupano 130 persone.

di Carlotta Jesi

Gli yuppie di via Sarfatti? Si sono estinti otto anni fa. Quando l?etica è entrata nel tempio del profitto e dal rampantismo è nato un nuovo tipo di bocconiano. «Un manager che invece del successo a ogni costo cerca l? equilibrio fra benessere personale e sociale. Un benessere valoriale», spiega il professor Giorgio Fiorentini. O «Quello del non profit», come lo chiamavano negli anni 80 i colleghi professori. Con chiaro intento di sfottimento. Ma Fiorentini mica se la prende: «Era il 1985 e io parlavo d?etica d?impresa nel regno del business, naturale che ci ridessero sopra». Oggi, tanto, non ride più nessuno. Quelli del non profit, tra personale docente e amministrativo, sono diventati 130. Dal 1994, quando in via Sarfatti è partito il primo corso di laurea in Economia delle aziende senza scopo di lucro, per l?ufficio del professore sono passati più di 400 studenti. E l?etica ha contaminato l?università. «Al sociale oggi sono dedicati un indirizzo di laurea, tre corsi, una parte del centro di ricerca Cergas, l?osservatorio Finetica sulla finanza responsabile, ben nove libri editi dalla casa editrice Egea e oltre 5 master», spiega con una punta d?orgoglio nel suo ufficio al terzo piano della Sda, Scuola di direzione aziendale, divisione amministrazione pubbliche, sanità e non profit. Dicitura che conferma la lunga strada fatta dal sociale in università. E fuori dalla Bocconi? Rifkin batte Bill Gates Il prof tira fuori un librone di pelle, dentro ci sono 350 pagine di quotidiani, mensili e settimanali che hanno parlato dei suoi corsi dal 1995 al 2001. «Fanno 300 articoli in 6 anni». Anni in cui i media hanno iniziato a occuparsi dei manager di ospedali, compagnie statali e fondazioni, molti dei quali erano ex bocconiani arrivati al successo. «E gli studenti hanno capito che si poteva diventare famosi anche nel pubblico. Oggi piace molto l?idea di gestire una ong». E il manager cui assomigliare nel Ventunesimo secolo, qual è? Un Bill Gates filantropo e guru dell?informatica? Un dirigente col carisma di Gino Strada? Fiorentini non si sbilancia, è presto per dirlo. Però i tempi gli sembrano maturi «perché nasca una nuova figura professionale, il manager della responsabilità sociale». Il miglior indicatore dell?impatto che l?etica ha avuto in università non sono gli idoli degli studenti, ma il loro gergo. Tra gli ex yuppie della Bocconi stanno diventando trendy parole snobbate fino a poco tempo fa: «Governance, sussidiarietà, social responsibility». Che a pensarci bene è naturale: «Quando leggi Stiglitz e Rifkin, diventa inevitabile». Già. Ma il professore come spiegherebbe ai suoi studenti la provocazione che Rifkin ha lanciato ai giovani new global e imprenditori sociali dalle pagine di Vita, «smettetela di farvi chiamare ong, non profit e Terzo settore. Voi siete società civile»? Risposta: «Io preferisco un?altra definizione: impresa sociale». Come Tony Blair Per Fiorentini, l?impresa sociale è il minimo comun denominatore di tutte le anime del Terzo settore. «Associazioni, ong, fondazioni, cooperative sociali e non. Solo come impresa sociale il non profit, cui ormai tutti riconoscono un valore, può avere la forza di negoziare il suo ruolo con il sistema». E solo come impresa sociale il Terzo settore potrà scrollarsi di dosso i pregiudizi con cui si autolimita. «Per esempio considerare impure attività di tipo commerciale che invece sono indispensabili per lo sviluppo di alcune organizzazioni. Se si va avanti così, il sociale non uscirà mai dal contesto catacombale in cui si caccia da solo». Fiorentini come Tony Blair: il premier inglese ha proposto che le charity possano svolgere attività commerciali anche senza bisogno di creare una trading company. E il professore è sulla stessa lunghezza d?onda: «L?impresa sociale va sostenuta con ogni mezzo, a cominciare dalla deducibilità delle donazioni che va ad aumentare la ricchezza del Paese. Non in ottica assistenziale, però: i manager devono imparare a stare soli sul mercato, a fare assistenza da una parte e produzione e vendita dall?altra». Attenzione, perché la lezione vale sia per i neolaureati sia per i quarantenni espulsi dalle imprese: «Nel non profit c?è posto perché è un mercato anticiclico». Al momento, però, lascia intendere il prof, più che un?assunzione nel Terzo settore bisognerebbe cercare di replicare le sue modalità di funzionamento: «Lavorare insieme, fare cooperative, unire le forze e dividere i costi». È pragmatico, Fiorentini. E se ne vanta: «Qui non formo missionari, ma manager». Per questo l?etica che insegna in Bocconi ha un tasso occupazionale del 100%. Per questo «quello del non profit» oggi è un complimento e non una presa in giro.


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